Paolo Croci

Gli Amici del Teatro - Settanta anni di tradizione a Mozzate

Spettacoli e registi del dopo-guerra

 
Nell'anno 1946 fu presentato a Mozzate il primo spettacolo post bellico: e fu proprio L'Assedio di Alcazar, sulla guerra di Toledo. Esso si inseriva nella scia di rappresentazioni medievali, caratteristiche di quel momento: era sempre la lotta tra il buono (impersonato dal signor Comerio) e il cattivo (in scena Dino Landoni). Il regista fu il signor Cortinovis. impiegato della Piccinelli, che dirigeva queste rappresentazioni per il CRAL della ditta, come dopolavoro. 

Gli spettacoli si svolgevano non solo all'Oratorio, ma anche nella rimessa dei tram, proprio di fronte alla stazione ferroviaria, adibita anche a mensa e a cinematografo. Tutto era semplice e alla buona: per trasformare la rimessa in sala proiezioni era sufficiente aggiungere alcune panchine di legno e un grosso telo. Così anche per le rappresentazioni teatrali: non c'era il palcoscenico e gli attori recitavano a diretto contatto con il pubblico. I giovani che aiutavano il dopolavoro della Piccinelli, al quale si era aggregato anche quello dei muratori bergamaschi che lavoravano a Mozzate, erano gli stessi che recitavano per l'oratorio sotto la guida di Dino Landoni e la supervisione di don Emilio Cocchi: di lui si ricordano l'intransigenza e l'insofferenza nei confronti della superficialità, cosicché quando si recitava male era solito esclamare: «Ah! che pezzo d'asino». Era l'offesa più grande che si potesse sentire e lo sprone più importante per migliorare. In questo periodo i componenti della Compagnia erano tutti maschi, perché c'era ancora il divieto di fare teatri misti: ecco allora che ogni elemento femminile nel testo o veniva eluso o era semplicemente evocato senza che mai comparisse; nell'Assedío di Alcazar, per esempio, la castellana di cui continuamente si parlava nel testo, non apparve mai in scena, anzi fu quasi una "protagonista assente"! 

Per poter far recitare anche le ragazze fu potenziata la Compagnia femminile che gravitava intorno all'Asilo e che conobbe buoni successi soprattutto negli anni Cinquanta: ne parleremo più avanti. I costumi e le scene di questo periodo non erano tra le più curate: dicono gli attori che in quel periodo gli spettatori erano "di bocca buona" e non interessava tanto se si recitava in borghese o in costume... anche se, quando più avanti vennero noleggiati abiti di scena, vi fu molto fervore nel pubblico, perché essi erano ricchi di colori e merletti (soprattutto i velluti rossi e azzurri suscitavano gridolini di ammirazione). Questi abiti venivano noleggiati a Milano, in via Matteo Bandello, in una sartoria nella quale lavorava un amico del teatro mozzatese, abitante a Tradate. Quanti ricordi, per questi noleggi. La cura con cui si sceglievano i costumi e la parsimonia nello stare nel minimo indispensabile, l'orgoglio di sentirsi importanti perché si potevano provare e indossare abiti di ogni epoca e stile. Ma ciò che è rimasto più impresso nelle mente dei registi e degli attori di allora sono certamente le traversie con cui i costumi venivano trasportati fino a Mozzate. 

Poiché non si aveva a disposizione un'automobile bisognava andare a Milano in treno, equipaggiati con due enormi valigie. Il ritorno era traumatico: con il peso di tutti i vestiti ci si trascinava a fatica sino alla stazione e lì si cercava di salire sul treno. Purtroppo gli orari coincidevano sempre con quelli degli operai, e il treno era stracolmo di persone giustamente stanche dopo una giornata di lavoro. Quanti improperi nei confronti di questi giovani che pretendevano di fare il viaggio con quelle grosse valigie, scomode e ingombranti! Ma l'amore per il teatro fa sopportare anche ingiurie e sacrifici! Come si sceglievano i testi in questo periodo e quali generi di teatro si privilegiavano? 

I primi erano scelti dal catalogo dei teatro che allora l'Editrice Ancora di Milano offriva per le compagnie maschili o femminili. Tuttavia la povertà della Compagnia era tale che si comperava un solo libretto e poi si ribatteva a macchina il testo, con la carta carbone: immaginatevi il poveretto a cui toccava l'ultima copia! Un'altra possibilità era offerta dalla presenza di giovani attori che cominciarono a creare nuovi bozzetti teatrali: lo spunto era preso certamente da altri lavori, ma essi erano adattati e ricostruiti sulla base delle esigenze della Compagnia mozzatese. 

Infatti dal 1947 erano entrati in Compagnia alcuni ragazzi che diedero un nuovo indirizzo al nostro teatro, guidati e sorretti dal Landoni: due di essi erano Carlo Talamone e Giuseppe Rimoldi. Costoro, conosciuti e contattati dall'allora regista frequentavano le scuole serali a Saronno ed erano veramente molto giovani: sui tredici-quattordici anni. Fu un incontro felice: l'entusiasmo e la passione che avevano per il teatro aiutarono a creare un momento magico. Insieme alla Compagnia si riunivano di sera, spesso nelle ore notturne, per scrivere i testi e per provare. 

Quella era l'epoca della rivista cosicché si scrivevano testi per questo genere teatrale: per gente amica era relativamente facile impostare lavori così concepiti, perché ci si intendeva a meraviglia, conoscendo bene i gusti e i caratteri degli attori. Bastava saper cogliere quegli aspetti del reale capaci di suscitare l'ilarità, bastava saper mettere in risalto nei singoli interpreti la capacità di mimica o di recitazione, esaltando le particolarità di ogni singola personalità. 

In questo modo chi recitava era proprio totalmente se stesso! Di quest'epoca si ricordano con piacere le scenette del falegname, il soliloquio del "cicisbeo" di Giuseppe Rimoldi, l'episodio della camera d'albergo e la statua di san Gennaro, il venditore di cravatte. Tutte queste scenette duravano tre-quattro minuti ed erano intervallate da brani musicali e canzoni. I testi erano rigorosamente scritti e ci si sforzava di creare situazioni tali da strappare la risata. Infatti la Compagnia non possedeva il classico comico caratterista (a parte qualche volta Gian Battista Cappelli) e bisognava giocare più sulla battuta che sulla mimica. Ma spesso a creare la situazione comica furono il caso o gli inconvenienti di scena: una volta il protagonista di una storiella doveva arrivare in scena in bicicletta, ma la foga e l'impegno fu tale che non riuscì a frenare in tempo rischiando di cadere nella buca. Tra gli attori ci fu un momento di panico, ma il pubblico pensò di trovarsi di fronte a un espediente scenico, ben interpretato e cominciò ad applaudire andando letteralmente in delirio! Per la cronaca la scena non fu più ripetuta. 

Un altro ricordo dell'epoca è la "rivista" dentro la rivista: ci riferiamo a quelle situazioni comiche che si crearono dietro le quinte. Numerosi erano gli attori irrequieti e dispettosi, ma sembra che i due campioni fossero Renato Locatelli e Augusto Annoni, che suscitavano risate sia fuori che dentro le scene. Spesso anche i suggeritori (attori in quel momento non in scena) aiutarono a creare situazioni comiche, sia quando sbagliavano a suggerire, sia quando, coinvolti dalle risate del pubblico, a loro volta scoppiavano a ridere, girando le spalle all'attore, che rimaneva solo e abbandonato al suo destino, sulla scena. Molte trovate comiche erano rubate dalla nascente televisione o dalle compagnie vicine, che talvolta erano di livello superiore alla nostra. Anche se la Compagnia possedeva un buon impianto di amplificazione a valvole, per trasmettere la musica dal grammofono, nella rivista si preferì utilizzare la musica dal vivo cosicché anche gli attori dovettero cantare in scena. Tutti ricordano che la prima canzone eseguita fu "Santa Lucia", proposta dalla bella voce di Renato Locatelli. Per accompagnare i momenti musicali furono invitati un duo di Gerenzano (con Luciano Briancesco alla fisarmonica) e un gruppetto di Turate. La rivista fu, dunque, il genere che più si confaceva alle esigenze della Compagnia mozzatese. Infatti pochi erano i giovani disposti al sacrificio della recitazione, poiché l'impegno era gravoso: uno spettacolo ogni tre mesi, con tre o quattro prove la settimana e con la recita di domenica sera, perché il sabato era giorno lavorativo a tutti gli effetti. E la rivista si reggeva su pochi attori. Tra essi si ricordano, oltre a quelli già citati Francesco Locatelli, Antonio Cappelli, Alfonso Ceriani e Angelo Moneta. Inoltre essa risolveva anche il problema delle scene: non c'era bisogno di un grande apparato scenico, bastavano qualche oggetto evocatore e un sapiente gioco di luci. 

Anche se la rivista fu il genere più confacente ad allora non vennero tralasciate altre espressioni teatrali, che richiedevano un diverso tipo di impegno e fatica e presentavano maggiori difficoltà. A partire dagli argomenti: molti erano tabù. Bisognava avere il permesso del signor parroco prima di andare in scena, talvolta bisognava lottare per ottenerlo. Le tematiche affrontate erano essenzialmente quelle della lotta del Bene sul male, concepita in un substrato religioso; il primo grosso scossone si ebbe con Il muro di vetro diretto negli anni Cinquanta da Carlo Talamone. D'altra parte bisognava realisticamente tenere in considerazione i mezzi a disposizione: gli attori non avevano una preparazione tale da permettere il cimento coi classici (infatti uno dei primi passi nella realizzazione di uno spettacolo era quello di spiegare i termini e le parole difficili), anche se l'impegno con cui affrontavano i copioni potrebbe essere d'esempio anche per oggi; le possibilità finanziarie erano scarse e non ci si poteva imbarcare in testi impegnativi, con grandi scenografie e costumi. Tuttavia ci furono lavori encomiabili. Uno caro a tutti fu L'uomo del delitto, per il quale per la prima volta fu costruita la scena, con il soffitto, il lampadario e le porte, un oblò, la prigione con la grata e altre parti, tutte riutilizzate anche in seguito. Questo spettacolo fu diretto da Angelo Moiana, uno dei "vecchi" della Compagnia. 

Ma il vero salto di qualità si ebbe appunto con il Muro di vetro: la tematica era attuale, l'impegno ideologico più pressante, la recitazione più impegnativa. Questo testo divenne un "classico" delle filodrammatiche mozzatesi: sotto la guida dello stesso Talamone fu rappresentato ben tre volte, in tempi e momenti diversi (questo citato, uno negli anni Sessanta e quello che sancì la nascita dell'attuale Compagnia). Nacque così un nuovo modo di fare teatro che troverà sviluppi impensati soprattutto negli anni Sessanta. Nonostante la semplicità e il carattere popolare degli spettacoli, vi furono anche delle trasferte nei paesi vicini: esse furono caratterizzate da alcuni aneddoti che vale la pena di riportare. Per esempio, quando si andava a recitare nei paesi vicini non si portavano, di regola, le scenografle, ma si chiedevano in prestito agli abitanti del luogo: sedie, tavoli, oggetti vari erano gentilmente offerti e poi puntualmente restituiti al termine della rappresentazione. Una sera si portava uno spettacolo alla Cascina Restelli, un piccolo Teatro, con un palcoscenico pericolante, per le assi traballanti che lo componevano. Faceva freddo e la stanza era riscaldata da una stufa a segatura; il parroco aveva rigorosamente diviso il pubblico: da una parte gli uomini e dall'altra le donne. Tutti balbettavano per il freddo. Giuseppe Rimoldi sosteneva la parte di un uomo che poi sarebbe stato ucciso alla fine del primo atto. Ciò avvenne puntualmente: disteso per terra attendeva la chiusura del sipario per potersi alzare indisturbato, ma il sipario di quel piccolo Teatro si inceppò proprio davanti a lui, lasciandolo alla vista del pubblico. Senza saperlo, si alzò e usci di scena, tra le risa di tutti. Ciò non riscaldò le persone, ma accese nella sala il fuoco dell'allegria! 

Un'altra sera, nel 1954 o 1955, tornando da un luogo dove si era recitato, con le scene e i costumi trasportati sul carretto, alzando gli occhi alla volta celeste gli attori avvistarono... un disco volante, o così almeno parve loro. Questo avvistamento fu l'argomento per tante discussioni e creò un po' di paura tra tutti. A loro favore comunque si deve dire che quella era l'epoca degli avvistamenti di Ufo in tutto il mondo e certamente si era creata una psicosi collettiva che faceva vedere oggetti strani anche là dove passava un aereo. Prima di concludere questo breve capitolo sulle origini voglio ricordare anche alcune altre Compagnie che lavorarono accanto alla nostra di Mozzate e di cui abbiamo una qualche notizia. 

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